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Trans-humance: cosa significa essere allevatori transumanti oggi

Trans-humance: cosa significa essere allevatori transumanti oggi
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Ancora oggi la transumanza è considerata una delle pratiche di allevamento più sostenibili ed efficienti proprio grazie ad una migrazione stagionale degli armenti verso i pascoli in alta quota nei periodi primaverili e verso le pianure più miti in quelli autunnali, per approfittare del nutrimento fresco e stagionale che la natura, naturalmente offre.

Gli Allevatori transumanti hanno oggi, forse ancor più di un tempo, una conoscenza approfondita dell’ambiente, dell’equilibrio ecologico tra uomo e animale. Un cambiamento epocale ed un ritorno a questo tipo di sensibilità dovuto al fatto che in molti si siano riconvertiti ad un sistema di tutela dei propri luoghi di appartenenza, rinnegando tutto ciò che è intensivo.

Diventano quindi custodi dei territori salvaguardando con il proprio “modus operandi” gli ecosistemi montani e la loro biodiversità, contribuendo ad ottimizzare l’utilizzo delle risorse foraggere.

Ma rappresentano anche un presidio sul territorio per la prevenzione del dissesto idrogeologico, la riduzione della desertificazione, la prevenzione degli incendi e non ultimo dello spopolamento delle aree montane svantaggiate.

Sono molto semplicemente degli eroi, tanto per il coraggio, quanto per la tenacia.

Considerare la transumanza un elemento della cultura immateriale del nostro Paese significa innanzitutto valorizzare i territori tutelandone in primis il background culturale che cela, rispettando le tempistiche e le normative che regolamentano le altitudini dei pascoli in base ai periodi; in secondo luogo incentivandone indirettamente il turismo naturalistico.

Riconoscerne il valore etico dovrebbe rappresentare un maggior stimolo capace di incidere positivamente sul lavoro degli Allevatori Custodi e sulla promozione delle tipicità locali; riequilibrando il consumo di suolo che sta riducendo drasticamente gli spazi verdi e i percorsi in ambienti ancora incontaminati.

La transumanza è l’emblema della montagna che resiste. È la forza dei suoi custodi, è l’uso sapiente dei territori, metafisica rappresentazione della vita.

La Transumanza è amore per la montagna, ma è anche la forza di tutti quegli uomini e quelle donne che sfidano le difficoltà e coesistono in un habitat naturale senza necessariamente tentare di sopraffarlo. La Transumanza è la scelta di proteggere e ridare vita ogni giorno ai territori e alle nostre tradizioni.

La transumanza è tradizione  essa stessa e c’è bisogno di favorire con ogni mezzo la passione verso questa pratica  affinché si sviluppi nelle nuove generazioni quella fiamma che permetta di perpetuarla ancora nel corso dei secoli a venire.

Trans-humance: cosa significa essere allevatori transumanti oggi 1

UN CAMMINO LUNGO MIGLIAIA DI ANNI

C’è stato un tempo in cui gli animali andavano a piedi. Partire, tornare, partire… anno dopo anno, un millennio dopo l’altro, uomini e animali, insieme. La natura come una seconda pelle, accordandosi al canto inconfutabile delle stagioni.

Nel corso dei secoli era naturale che i percorsi degli uomini seguissero quelli degli animali. Si pensi che soltanto nelle campagne spopolate del Lazio e della Toscana migravano quasi un milione di capi e la “gens agricola” della Majella, così come dell’Aquilano, usava camminare con le greggi e le mandrie in transumanza fino al tavoliere delle Puglie e nell’altipiano della Murgia.

La transumanza era fortemente diffusa dalla Sardegna al Trentino-Alto Adige, a tal punto che ancora oggi il ricordo visivo delle masse interminabili di animali che andavano a piedi è ancora forte tra i più anziani.

Per secoli i pastori attraversano gli Appennini con i loro armenti, camminando su una rete di tratturi sterrati pieni di storia e di poesia, indispensabili per  conservare  una cultura identitaria  profondamente radicata. Queste vie, immerse in un paesaggio parallelo, negli ultimi decenni sono diventate oggetto di mirati  progetti di cura e conservazione. Tuttavia la loro funzione storico -geografica è spesso intrisa di simbologie religiose e scaramantiche, segni di specifico valore storico-antropologico lasciati nei millenni dalla cultura pastorale.

Ora anche l’Onu riconosce il loro ruolo: «Un modello di produzione ecologica e sostenibile».

Tra qualche mese la seconda candelina per l’importantissimo riconoscimento avvenuto nel dicembre 2019 per la “TRANSUMANZA“, entrata nella lista dei patrimoni culturali immateriali Unesco dell’umanità.

«Un esempio straordinario di approccio sostenibile per affrontare le sfide poste dalla rapida globalizzazione, che ha contribuito in modo significativo a modellare il paesaggio naturalistico» ha scritto l’Organizzazione delle Nazioni Unite.

É con queste parole che la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, promulgata dall’UNESCO nel 2003 e ratificata dall’Italia nel 2007, definisce il concetto.

Per “patrimonio culturale immateriale” s’intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui – riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d‘identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana.”

Per la Convenzione, sono le comunità, i gruppi e gli individui portatori di conoscenze, pratiche e capacità i primi protagonisti nel processo di produzione e trasmissione culturale.

LA TRANSUMANZA RACCHIUDE IN SÉ UNA STORIA MILLENARIA

Pratica silvo-pastorale che ha ispirato nei  secoli scrittori e poeti, da Terenzio e  Virgilio a  Plinio il Giovane, da Torquato Tasso a  Gabriele D’Annunzio con il suo “Settembre, andiamo è tempo di migrare..” è solo uno dei versi più celebri che danno origine nel  centro Italia, in particolare nelle terre aquilane e reatine, ai  “poeti-pastori”,  depositari del “canto a braccio”, il cosiddetto poema in ottava rima, nati grazie alla lettura di classici immortali,  ma anche di poemi ispirati alle leggende locali, veri e propri santuari virtuali.

UNA TRADIZIONE ANCORA PERPETUATA ANCHE NELL’ALTA VALLE DI FALACRINA NEL REATINO

In un paesaggio caratterizzato prevalentemente da boschi secolari e sacri e da fiumi, a partire dal Velino che ha origine a monte di Cittareale, in provincia di Rieti, non sorprende la predominanza di culti pagani legati a questi elementi naturali, come nel caso dei dio dei boschi Silvanus, della dea Feronia per l’agricoltura, e, prima tra tutti, della dea Vacuna, divinità sabina fortemente legata alla terra e all’acqua, ma anche alla fertilità e alla contemplazione.

Terre che hanno donato i natali all’imperatore Tito Flavio Vespasiano, il rifondatore che a Roma fece costruire il Colosseo, nel cuore della Sabina montana, precisamente nella Valle Falacrina sulle rovine dell’antica città romana Phalacrinae, villaggio in cui proprio nell’anno 9 d.C. nacque l’imperatore romano, padre di due figli anch’essi imperatori, Tito e Domiziano.

In uno scenario naturalistico che profuma di storia, si aprono le vie della transumanza anche tra Bacugno, Borbona, Posta, Piedimordenti, Figino, Cittareale.

In passato così come fino a pochi anni fa del resto, furono l’allevamento e la pastorizia le principali attività che caratterizzarono anche le valli interne dell’alta Sabina. In particolare, la Sabina settentrionale interna fin da epoca arcaica fu interessata dal fenomeno della transumanza dalla montagna alla pianura e viceversa. Una migrazione stagionale del bestiame che avveniva su estese “calles” di terra battuta, gli odierni tratturi , per raggiungere il mare dagli Appennini o, al contrario, i pascoli invernali delle pianure meridionali.

Gli insediamenti nella Valle di Falacrina fin dagli albori vennero privilegiati dalla vicinanza alla via Salaria, trovando corrispondenza nel sistema di calles tra Amiternum, Reate, Falacrinae e Nursia, e ponendosi come vero e proprio snodo dei pascoli che collegavano l’alta Sabina con la vicina Norcia, Leonessa e Montereale.

(27 giugno 2023) a cura di © Annalisa Parisi – Centro Studi per la Biodiversità di PASSIONECAITPR ; RIF. Statuto pag. 9   https://www.passionecaitpr.it/;

Redazione EQIN
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