Piroplasmosi equina: un approfondimento – con Tempest Italia
15 luglio 2017 #focus
La piroplasmosi equina – nello specifico babesiosi o theileriosi – è purtroppo una malattia diffusissima nei cavalli in diversi continenti. Le prime basi sulla conoscenza delle piroplasmosi furono gettate da Th. Smith, H. Kilborne e V. Babes. Esistono varie specie di piroplasmi differenziati per la loro forma e grandezza, per il modo di moltiplicarsi nel sangue degli animali, ma soprattutto per il loro diverso potere patogeno.
La piroplasmosi è causata da protozoi (Theileria equi e Babesia caballi) veicolati principalmente dalle insidiose zecche, artropodi molto diffusi nel nostro territorio, specie durante la stagione estiva. La lotta alle zecche è dunque di fondamentale e primaria importanza. Se il cavallo vive o frequenta abitualmente il paddock, va controllato tutti i giorni nei punti in cui le zecche si insediano: perineo (sotto la coda, tra ano e vulva nella femmina), piega delle mammelle, dentro le orecchie, tra la criniera e nelle pieghe in generale.
Il cavallo ha come incubazione circa tre settimane dal morso della zecca infetta. Quest’ultima è un protozoo, cioè né batterio né virus, ma un organismo unicellulare che possiede organi per il movimento e che può progredire nel liquido in cui vive. Principalmente, la piroplasmosi procura ai cavalli anemia emolitica (cioè da rottura di globuli rossi), febbre, edema periferico, anoressia per mancanza di fame e conseguente perdita di peso. Col progredire della malattia e dunque dell’anemia emolitica, le mucose si pigmentano di giallo (ittero).
Lo sviluppo di immunità conduce il cavallo allo stato di portatore cronico, status caratterizzato appunto da anemia cronica; detto altrimenti, alla diffusione della malattia contribuiscono, a mezzo delle zecche, gli animali ammalati, quelli clinicamente guariti, che non hanno mai presentato segni / sintomi di malattia – e dunque sono più difficili da individuare: essi restano tuttavia i principali veicoli dell’infezione.
Come ci conferma il dott. Ettore Ballardini (Tempest Italia), diversi test sierologici sono oggi disponibili e sono di primaria importanza per la diagnosi di piroplasmosi nel cavallo; con le analisi cliniche si riesce ad individuare di quale forma di malattia si tratta, perché diminuiscono sensibilmente i leucociti e le piastrine. A questa opportuna verifica seguirà una terapia, volta prima di tutto alla risoluzione dei segni clinici. Il secondo obiettivo è l’eliminazione dei parassiti dai cavalli affetti – se necessario, con isolamento temporaneo del soggetto. In genere, la guarigione clinica si ottiene, sebbene le infezioni causate da Theileria equi siano difficili da eliminare con i farmaci e i cavalli che ne vengono colpiti di solito rimangono vettori, probabilmente per tutta la vita.
Qual è dunque la prassi da adottare? Prima di tutto, all’insorgere di sintomi nel cavallo che possano anche solo suggerire di aver contratto la malattia (primi tra tutti, perdita di peso, anemia e febbre) è necessario far eseguire al medico veterinario tutti i test necessari per verificare lo stato di salute dell’animale. Una volta diagnosticata la malattia, sarà poi necessario improntare la terapia più adatta.
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