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Una realtà ancora più scomoda – Confessioni di un cavaliere fallito

Una realtà ancora più scomoda - Confessioni di un cavaliere fallito
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1° maggio 2023 #nonètutt’oro

Torna la penna pungente di Pietro Borgia, per la sua rubrica d’opinione critica e sagace. Lo ringraziamo!

Qualche tempo fa mi ha chiamato al telefono una mia carissima amica. “Ho appena finito di leggere un libro che credo potrebbe interessarti molto”, mi ha detto; poi ha aggiunto: “Mi piacerebbe sapere che ne pensi. Perché non ci scrivi uno dei tuoi articoli?”. Il libro in questione si intitola “L’illusione del cavallo – Storie e strumenti per vedere la scomoda realtà”, opera di Marco Pagliai e Alberto Alessi. Ho accolto con favore questo suggerimento: ho comprato il libro e l’ho letto. In questo articolo vi dirò, come al solito senza filtri e compromessi, le riflessioni che mi ha suscitato.

Vorrei iniziare dicendo che la lettura è stata per me molto piacevole. È scritto in modo semplice e colloquiale, viene presentato dagli autori senza indorare la pillola (“Il testo si rivolge a chi vuole comprendere il cavallo e si rende conto della visione distorta del mondo equestre orientata sempre più al beneficio umano e sempre meno al cavallo” – incipit della quarta di copertina) ed esplora anche utilissimi strumenti complessi, connessi alle più recenti ricerche di neuroscienza (umana e animale). La semplicità della lettura agevola notevolmente la comprensione dei contenuti trattati. Il tutto alleggerito ulteriormente da momenti in cui gli autori condividono con il lettore “storie di vita” per loro particolarmente significative.

In particolare, ho trovato molto interessanti e stimolanti alcuni argomenti proposti, visto che mi riguardano molto da vicino:

– L’importanza dell’essere umili e del saper mettere in discussione le proprie certezze;

– l’analisi delle principali distorsioni del pensiero (bias cognitivi) alle quali siamo molto spesso soggetti senza rendercene conto;

– il delicatissimo rapporto che si instaura tra maestro e allievo;

– la fondamentale questione della coerenza nella comunicazione;

– il rapporto tra aspettative e motivazione;

– l’importanza di lavorare, prima di tutto, su se stessi.

A mio avviso, gli autori di questo libro hanno tentato di essere estremamente onesti nel descrivere la “scomoda realtà” che loro vedono in tema di cavalli ed equitazione. In un’epoca che giustamente Pagliai e Alessi definiscono “l’era del benessere del cavallo”, dove la tendenza sempre più diffusa è quella di indorare la pillola facendo passare l’equitazione come la pratica più dolce e naturale che esista, Marco e Alberto hanno il coraggio di dire le cose come stanno, almeno secondo la loro visione. Visione che tuttavia, dal mio punto di vista, ha un limite: quello di considerare l’equitazione – e quindi l’addestramento/condizionamento del cavallo – l’unica strada possibile per poter avere una relazione con questi animali.

Gli autori sembrano partire dall’assunto che non ci sia altra scelta se non quell’approccio psicologico definito “comportamentismo”, basato sulla somministrazione di rinforzi e punizioni per ottenere un comportamento desiderato: “Da quando il cavallo nasce, è nostro compito prepararlo al mondo “umano” nel quale si è trovato a vivere. Sarebbe bellissimo pensare a un mondo immaginario dove grandi praterie ospitino tutti i cavalli del mondo, ma di fatto non è più così da tantissimo tempo”. Quindi, stante l’impossibilità di lasciare tutti i cavalli del mondo liberi di vivere la loro vita in pace con i loro simili, l’unica alternativa è quella di addestrarli al “mondo umano” nel quale hanno avuto la sfortuna di nascere. È questa, dunque, la “scomoda realtà” che Pagliai e Alessi tentano di svelare al lettore nel corso del loro scritto. Ma non solo.

Gli autori descrivono anche il loro punto di vista sull’uso dei cosiddetti “rinforzi”, posto che le “punizioni” mi sembrano escluse dal loro metodo di addestramento. Ora, questa parte è quella a mio avviso più problematica. È qui che la visione dei due autori si contraddice maggiormente, mostrando il grande limite che ho detto sopra. La comunicazione che arriva al lettore su questo argomento è sintetizzabile nel modo seguente.

Per poterci relazionare al cavallo dobbiamo addestrarlo. Per addestrarlo usiamo i rinforzi. Oggigiorno tutti parlano di rinforzo “positivo”, ma è impossibile – e dannoso – addestrare un cavallo solo con le carote: il rinforzo negativo, nonostante sia un “ricatto morale” è necessario. Allo stesso tempo però dobbiamo instaurare col cavallo una relazione il più possibile “positiva”, quindi, nel corso dell’addestramento, dovremo riuscire ad aumentare i premi in cibo (rinforzo positivo) e diminuire le pressioni (rinforzo negativo), fino a farle sparire del tutto.

A parte quella che mi pare essere una palese contraddizione logica, qui la confusione è generata, tra l’altro, dall’uso del termine “positivo” in due accezioni molto diverse. Nel caso della “relazione”, significa che quella che dobbiamo instaurare col cavallo è una relazione il più possibile “piacevole”, “armonica”; nel caso del “rinforzo” significa invece “aggiungere”, “mettere” ed è riferito al fatto che, nell’utilizzare un rinforzo “positivo”, il premio viene dato al cavallo (quindi “aggiunto”) quando questo esibisce il comportamento da noi desiderato (allo stesso modo in cui, nel rinforzo “negativo”, il fastidio viene “tolto” nel momento in cui il cavallo esegue il comportamento desiderato).

In ogni caso, il punto qui è che Marco e Alberto sembrano voler indicare al lettore il modo più corretto di utilizzare i rinforzi nell’addestramento dei cavalli, senza mettere minimamente in discussione che l’addestramento/condizionamento sia l’unica alternativa per poter avere una relazione con loro. Sempre secondo gli autori, infatti, “il nostro rapporto con il cavallo non sarà e non potrà mai essere alla pari, ma sempre a nostro favore”. La nostra volontà, cioè, dovrà sempre prevalere su quella del cavallo in caso di contrasto. Siamo noi a decidere qual è il “comportamento desiderato”: il cavallo deve limitarsi a produrre il comportamento che noi desideriamo. E perché? Per una questione di sicurezza, sia nostra che del cavallo: “Lasciare a lui la libertà di scelta e autonomia decisionale porterebbe a creare situazioni di pericolo per entrambi”. Ma qui siamo di nuovo da capo: l’unica alternativa possibile è l’equitazione, l’addestramento, il condizionamento. E l’unico contesto possibile per una relazione uomo-cavallo è quello equestre.

Ora, a me sembra che la “realtà” sia molto più “scomoda” di quella descritta da Pagliai e Alessi nel loro libro. Se vogliamo avere relazioni davvero “positive”, cioè armoniche, piacevoli e – soprattutto – reciproche con i cavalli, non possiamo pensare di continuare a porci come coloro i quali decidono quali siano i comportamenti “giusti” e quali quelli “sbagliati”. E questo vale anche nella relazione tra esseri umani.

Quindi, in generale, potremmo chiederci: c’è un’alternativa all’uso delle ricompense per instaurare relazioni armoniche con gli altri, umani o cavalli che siano?

A questa domanda, lascio che risponda Alfie Kohn, autore e docente americano nei settori dell’istruzione, della genitorialità e del comportamento umano. Nel suo libro “Punished by rewards” (“Puniti dalle ricompense”), ci spiega che la risposta a questa domanda dipende da che cosa vogliamo da una relazione, di qualsiasi tipo essa sia.

Se ciò che vogliamo è fare in modo che l’altro faccia ciò che noi abbiamo deciso, ciò che noi pensiamo sia giusto che faccia, allora condizionarlo attraverso punizioni e rinforzi – negativi o positivi che siano – è senza dubbio la scelta migliore. Non esiste un modo migliore per controllare il comportamento degli altri. E, tra le varie scelte che il comportamentismo ci offre, le ricompense (rinforzo positivo) sono senza dubbio le più efficaci perché, come rilevato anche da Marco e Alberto nel loro libro, non hanno l’inconveniente di essere percepite come fastidiose da chi le riceve.

Se, invece, ciò che vogliamo è aiutare l’altro a sviluppare la propria indipendenza e libertà, le proprie facoltà cognitive ed emozionali, allora la domanda “c’è un’alternativa alle ricompense”, perde completamente di senso. È ormai infatti comprovato – e il libro di Kohn lo dimostra – che né le punizioni né le ricompense ci facciano fare il benché minimo passo in questa direzione.

Uno dei messaggi più presenti nel libro di Marco e Alberto è quello per cui, per quanto possiamo averne paura, dobbiamo avere il coraggio di mettere in discussione le nostre certezze se vogliamo vedere la verità. Su questo sono totalmente d’accordo. Credo però che questo vada fatto in modo molto più radicale di come viene proposto nel libro “L’illusione del cavallo” al quale tuttavia va l’indiscutibile merito di aver avuto il coraggio di abbracciare la via della denuncia pubblica di alcune fra le ipocrisie più insopportabili del mondo equestre.
Consiglio quindi la lettura di questo libro a tutti coloro che vogliano iniziare davvero a mettere in discussione una “realtà” la cui comodità non è davvero più sostenibile.

 

© P. Borgia – riproduzione riservata;

Redazione EQIN
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