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La fabbrica del ricordo: come funziona la memoria nei cavalli?

La fabbrica del ricordo: come funziona la memoria nei cavalli?
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“La vita è tutta memoria, tranne l’unico momento presente”, scriveva il drammaturgo Tennessee Williams. L’uomo oscilla tra i due estremi del ricordo e dell’oblio, “tra un tenace attaccamento ai ricordi e il desiderio inconfessato di liberarsi del loro peso” (F. Cimatti). E il cavallo? Che ruolo gioca la sua memoria e come influisce sul rapporto che l’uomo stabilisce con lui?

Va premesso che la memoria non è stata studiata specificamente nei cavalli, quanto piuttosto nelle persone o in altri animali. Ma sono state fatte diverse ricerche e stanno emergendo nuove informazioni che ci permettono di trarre alcune linee guida sul tema. Come ci ricorda Cimatti nel suo La fabbrica del ricordo (ed. Il Mulino), che gli animali non umani abbiano una buona memoria è fuori di discussione, la vita, ogni vita è impossibile senza la possibilità di “ricordare”. “Il punto in questione non è se hanno buona memoria, quanto piuttosto: in che modo ricorda un animale non umano? In effetti il problema, quando si fanno ricerche di psicologia comparata sulla memoria, non è quasi mai che cosa si ricorda (dipende dall’ambiente e dalle esigenze delle diverse specie animali), bensì come si ricorda” (p. 35).

E infatti, quel che tutti gli studi confermano è che i cavalli hanno un’eccellente memoria a lungo termine, capacità scaturente da un adattamento richiesto ai loro progenitori selvaggi che spesso vagavano e pascolavano su vasti territori, e che per sopravvivere avevano necessità di ricordare i percorsi utili (ad es. per raggiungere l’acqua) e possibili zone di pericolo lungo i tragitti già noti.

Gli esperti di etologia Sue McDonnell, PhD, fondatrice del programma di comportamento equino presso il New Bolton Center della University of Pennsylvania School of Veterinary Medicine, e Leanne Proops, PhD, psicologa comparativa ed etologa presso l’Università di Portsmouth in Inghilterra, hanno condiviso le loro ricerche ed intuizioni. “I cavalli delle pianure hanno anche sviluppato ricordi positivi complessi, ad esempio, dei luoghi in cui hanno trovato acqua e cibo”, specifica la McDonnell. “I cavalli in grado di formare queste associazioni sono quelli che sono sopravvissuti”. L’evoluzione ha plasmato il modo in cui i cavalli formano, conservano e usano i ricordi, dicono, ma la memoria equina differisce dalla memoria umana in diversi punti chiave. Per capirlo, servono prima però delle specificazioni:

Quando la maggior parte delle persone si riferisce alla memoria, intende la memoria di tipo esplicito, ossia i ricordi consapevoli; per portare un esempio: se a cavallo inciampi in una buca lungo un certo sentiero, cercherai di fissare nella memoria osservando il contesto dove si trova la buca più da vicino, per stare attento la prossima volta che andrai in quella direzione. I cavalli costruiscono questi ricordi nello stesso modo in cui lo facciamo noi, stabilendo connessioni neuronali connesse all’esperienza… ma lo fanno continuamente, anche senza eventi per forza traumatici. Per quanto ne sappiamo ad oggi, i loro ricordi si basano esclusivamente sull’esperienza, ma con un’attenzione… superiore.

In un’ipotetica “gara”, i cavalli potrebbero infatti eclissare la capacità mnemonica umana nei ricordi associativi, ossia nella capacità di creare e mantenere legami tra cose apparentemente non correlate. I ricordi associativi si formano quando gruppi di cellule cerebrali che sono attive contemporaneamente si sincronizzano, in modo che l’attività in un gruppo faciliti l’attività nell’altro. “I cavalli sono bravi a formare questi ricordi perché si sono evoluti come animali che pascolano in pianura. Collegare le esperienze alle circostanze – l’ambiente fisico, i suoni, i profumi, il tutto – li ha aiutati a sopravvivere “, afferma la McDonnell. Un cavallo ricorderebbe dove si è verificato l’attacco di un leone e starebbe alla larga da quel luogo, e questo appare ovvio, ma quel che non è scontato è che ciò ha influito in maniera decisiva sul loro presente, sui cavalli che frequentiamo oggi. Difatti, tutti i cavalli hanno “una memoria quasi fotografica dell’ambiente che li circonda, ed in particolare per le esperienze negative. Tuttavia, ricordano anche cosa indossano i veterinari e che odore hanno, così come ricordano i rumori: dell’auto del proprietario, del camion del maniscalco”.

La ricerca in altre specie animali suggerisce che la chimica del corpo aiuta ad incidere alcune esperienze nella memoria. Gli ormoni dello stress come il cortisolo e l’adrenalina, rilasciati durante eventi dolorosi e/o stressanti, possono rafforzare le connessioni neuronali. All’opposto, le sostanze chimiche cerebrali associate al piacere possono aiutare a rafforzare i ricordi positivi.

Buono a sapersi: “Le persone spesso non riescono a capire quanto velocemente i cavalli formano questi ricordi e quanto sono forti“, dice la McDonnell. “I cavalli mostrano ciò che gli psicologi chiamano apprendimento dell’avversione a prova singola, il che significa che, ad esempio, una brutta esperienza su un van può lasciare un cavallo anche permanentemente riluttante a salire”. Caso in questione: Temple Grandin, PhD, professore di scienze animali alla Colorado State University e autore di Animals in Translation (Scribner, 2005) e altri libri, descrive un cavallo che una volta era stato maltrattato da qualcuno che indossava un cappello da cowboy nero ed è rimasto terrorizzato dai cappelli da cowboy neri per sempre. Nel rapporto con loro è dunque più facile, ed auspicabile, prevenire le associazioni mnemoniche negative che dover poi lavorare per cancellarle.

Conservare i ricordi
I cavalli sembrano condividere la nostra capacità di formare ricordi a lungo termine che persistono per ore, giorni, settimane o anni, afferma il dott. Proops. Indica diversi studi condotti all’inizio degli anni 2000 da Evelyn Hanggi, PhD, co-direttrice della Equine Research Foundation di Aptos, in California. “In uno di questi, i cavalli hanno imparato ad associare simboli e oggetti specifici ad una ricompensa. Sono stati presentati gli stessi oggetti sei anni dopo e li ricordavano ancora“. Nessuno sa se esiste un limite al tempo per cui i cavalli conservano i ricordi… memoria d’elefante?

Per ciò che riguarda l’uomo, gli scienziati cognitivi affermano che la longevità dei ricordi dipende dalla forza con cui sono codificati e ciò riguarda diversi fattori:

Ripetizione. I collegamenti tra i neuroni si rafforzano quando vengono utilizzati e si indeboliscono quando non lo sono, quindi l’attivazione ripetuta delle reti neuronali coinvolte in un particolare ricordo rende quel ricordo più forte.
Importanza. È più probabile che ci si ricordi qualcosa se è importante per noi, e lo stesso vale per il cavallo.
Percezione. L’acutezza con cui il cervello percepisce inizialmente l’oggetto di un ricordo, influisce sulla forza con cui la memoria è codificata.

In cosa è diverso: il cavallo non condivide le nostre priorità. Per lui, le cose più importanti (e memorabili) sono legate alla sopravvivenza: procurarsi cibo ed evitare i predatori, insomma… stare bene. E sebbene cavallo e cavaliere siano entrambi nello stesso posto contemporaneamente, il cavallo percepisce l’ambiente circostante in modo diverso. Annota e ricorda ogni dettaglio minimo, dice il dottor Proops, perché è programmato per farlo: anche un lieve cambiamento nell’ambiente potrebbe rappresentare un pericolo per un predato come il cavallo. L’iperconsapevolezza guidata dalla sopravvivenza aiuta a spiegare perché un cavallo può spaventarsi per qualcosa che noi non notiamo nemmeno, come un bidone della spazzatura spostato in un nuovo punto, fuori dal fienile, vicino al campo. Non è né stupido, né ostinato: semplicemente, differentemente dall’uomo sa che prima quella cosa non c’era, quindi per lui è una potenziale minaccia.

Ma perché, dopo che il cavallo ha superato lo shock nel vedere il bidone alla sua destra mentre esce dal box, si spaventa di nuovo quando la supera alla sua sinistra mentre torna indietro? “Avere un ‘cervello diviso’, è la spiegazione che ho sentito per questo comportamento, ma non è corretto: le informazioni passano da un lato all’altro del cervello del cavallo, come accade a noi”, afferma il dott. Proops. “La risposta è, probabilmente, perché semplicemente la potenziale minaccia è vista e percepita in un contesto ancora diverso”. Nessun risentimento, dunque: sebbene i cavalli ricordino bene, non portano rancore, e nemmeno noi dovremmo, specie nei loro confronti.

Tutto questo, ne converrete, è utilissimo: capire come si rafforzano i ricordi a lungo termine può aiutare anche nel training. La ripetizione, la routine con buone e semplici pratiche, com’è noto, è uno strumento di formazione essenziale, e lo è in maniera fondamentale per quei cavalli con problemi comportamentali, proprio perché fornisce loro quella sicurezza capace di soppiantare anche i ricordi negativi più ancorati nella loro memoria.

(09 marzo 2021) © B.S.; riproduzione riservata; fonti: F. Cimatti, cit; practicalhorsemanmag.com/; scienceprofonline.org/; thehorse.com; foto: thehorse.com

 

 

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