Transumanza: il valore della biodiversità
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Daniel Gilbert, emerito professore di psicologia di Harvard sostiene che le esperienze visive siano per molti aspetti migliori dei beni durevoli, in quanto conservano nel lungo periodo solo le sensazioni più vere.
Difficile trovare le parole per raccontare un’alba del mese di giugno in un posto magico che da diversi secoli è teatro di poesie, racconti, film, spot pubblicitari e oggi più che mai di post e stories di comuni mortali o dei tanto amati influencer più o meno influenti: sua maestà il Gran Sasso d’Italia con i suoi borghi , i suoi castelli e le sue rocche.
Una cartolina che si staglia sullo sfondo del massiccio del Corno Grande ad un’altitudine che varia dai 1.630 metri di Fonte Vetica fino ai 2.130 metri a ridosso degli impianti sciistici, passando per la Piana di Campo Imperatore popolata da numerosi armenti di vacche, pecore, capre e naturalmente cavalli. Il tutto a pochi chilometri dal centro della città dell’Aquila, in Abruzzo.
Inconfondibili, balzano subito agli occhi diverse mandrie prevalentemente di Cavallo Agricolo Italiano da Tiro Pesante Rapido: animali rustici e frugali, i giganti gentili tutti italiani, che ci permettono di rivivere una tradizione millenaria di allevamenti e monticazione – ancor oggi perpetuata secondo pratiche pastorali tradizionali – creando sulle montagne Aquilane un sistema di habitat a prati e pascoli in equilibrio con l’ambiente circostante ricco di pregi naturalistici.
Fondamentale è il ruolo riconosciuto ai cosiddetti Allevatori Custodi (+ info: clicca qui) che lasciano pascolare le proprie mandrie sui territori ricadenti nel Parco del Gran Sasso e Monti della Laga, permettendoci di fruire di uno spettacolo senza filtri, un vero e proprio sentiero culturale di biodiversità.
UNA LUNGA STORIA
Attribuibili al IV secolo a. C. le prime testimonianze degli insediamenti Romani intorno alla attuale borgo di Castel del Monte che fu fondata con il nome di Città delle Tre Corone. Da allora i testi raccontano con dovizia di particolari il susseguirsi di dominazioni che nel 400 sotto i Medici attribuirono alla località il titolo di “Capitale della Lana“, proprio per quel legame indissolubile con i riti della pastorizia mai sopiti.
Ma i pascoli fin dai tempi d’oro non erano prerogativa esclusiva delle greggi famose anche grazie alle liriche di D’Annunzio, tant’è che negli affreschi popolari non di rado si scorgono anche vacche e cavalli, assolutamente necessari e complementari alla complessa macchina organizzativa della transumanza che imperversava nel famoso Trattura Magno collegando Campo Imperatore con il Tavoliere delle Puglie.
Un riconoscimento altisonante arriva nel dicembre 2019 proprio dall’UNESCO che riconosce la Transumanza come patrimonio immateriale dell’Umanità, indissolubile valore culturale per i territori. Oggi le cose sono in parte cambiate: il progresso e la tecnologia hanno resto l’attività allevatoriale stanziale e verticale. Tuttavia, fin dai primi tornanti che portano verso la Piana di Campo Imperatore, il tempo sembra essersi davvero fermato.
La Fossa di Paganica è popolata di armenti che pascolano tranquilli ed in armonia tra loro, i laghetti naturali sono colmi di acqua necessaria all’abbeveraggio quotidiano, i telefoni non ricevono segnale e ci si deve concentrare sullo spettacolo meraviglioso che offre gratuitamente madre natura. Difficile dire lassù in che anno siamo veramente.
LA BIODIVERSITÀ É E RESTA UN TESORO DA PROTEGGERE
Negli ultimi anni quello della “biodiversità” è infatti un tema molto discusso e per certi versi forse anche mal interpretato.
L’Italia vanta in assoluto il patrimonio di diversità biologiche più variegato al mondo.
La “biodiversità equina” rappresenta ovviamente solo un aspetto in un quadro complesso e strutturato che ha bisogno di un excursus che ci permetta di collocarle in maniera adeguata.
Il cavallo, in seguito alla meccanizzazione dell’agricoltura, ha subito un processo sufficientemente rapido di “dismissione” a favore di un impiego nelle attività sportive e ludico-amatoriali.
Negli ultimi 20 anni, sulla scia dei trend dettati dai nostri cugini europei, il Cavallo inteso come animale da Zootecnia finalizzato alla selezione ed all’Allevamento ha subito un processo di riqualificazione anche nelle moderne aziende agricole, veicolando in maniera calzante i concetti di eco-sostenibilità e basso impatto ambientale.
Inserito fin dagli anni ’90 nelle misure dei Piani di Sviluppo Rurale dapprima nelle Fattorie Didattiche, poi in quelle Sociali, attualmente molto richiesto in progetti élitari per la riscoperta e conservazione di antiche semenze autoctone nelle lavorazioni dei vigneti a produzione biologica, il Cavallo Agricolo vanta a tutt’oggi una sentita e partecipata scia di appassionati che non perdono occasione per valorizzarlo nelle sue “modalità originarie“: il cosiddetto cavallo da lavoro che per secoli ha affiancato l’uomo nella vita quotidiana e da sempre ne ha costituito il “valore aggiunto”.
Dal trasporto alla ranghinatura ed aratura in spazi difficilmente gestibili con mezzi meccanici; nel delicato lavoro della gestione delle mandrie; nella gestione dell’esbosco programmato attraverso l’assegnazione degli usi civici in zone non accessibili ai mezzi meccanici, il cavallo, così come l’asino ed il mulo restano ancora una preziosa ancora di salvezza.
L’Italia si fregia di una varietà territoriale che permette a chi alleva di portare avanti progetti di selezione molto apprezzati anche all’estero e al contempo di lavorare quotidianamente affinché la genetica con tutti i miglioramenti ad essa legati non tralasci né dimentichi mai le tradizioni che hanno reso grandi le nostre eccellenze nel corso del tempo.
Ed è in questo spazio che oggi la “conservazione della biodiversità” trova una collocazione su diversi livelli.
Innanzitutto l’attività operata dagli Allevatori che aderiscono a specifici programmi di selezione consente di conservare una certa variabilità del patrimonio genetico all’interno della stessa razza in determinate e specifiche condizioni; in secondo luogo la capacità di adattamento di determinate specie in certi territori all’apparenza un po’ estremi e molto spesso assai diversi tra loro, fa sì che le aree adibite al pascolo vengano preservate da rimboschimenti selvaggi che potrebbero diventare habitat ideali per i pericolosissimi incendi estivi troppo spesso dolosi; last but not least, la funzione sociale legata alla cultura storico-naturalistica che in questi anni sta fortunatamente vivendo un periodo favorevole, consente di rivivere seppur solo attraverso i ricordi le tradizioni, la cultura di certe terre profondamente intrise in questa civiltà pastorale.
(06 luglio 2023) © Annalisa Parisi testo e foto – Centro Studi per la Biodiversità di PASSIONECAITPR; riproduzione riservata;
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