Cavalli di m***a – Confessioni di un cavaliere fallito

02 dicembre 2020 #nonètuttoro
Cari amici, nell’ultimo articolo che ho scritto per questa rubrica (leggi qui), mi sono messo a vostra disposizione, invitando tutti gli “equestri” interessati a condividere il proprio punto di vista, o semplicemente a proporre argomenti di riflessione contattandomi.
In seguito a questo invito, ho ricevuto alcune mail (se volete scrivermi potete farlo via e-mail cliccando qui). In particolare, sono stato colpito dalle parole di Vanessa, che ringrazio, e alla quale, con il suo consenso, voglio rispondere pubblicamente. Ritengo infatti il tema da lei proposto di grande interesse per me e, spero, anche per voi che leggerete.
Caro Pietro,
stimo il tuo coraggio e potrei scrivere una mail di cento pagine su cosa penso, invece ti lancio un argomento di cui mi piacerebbe si parlasse, di cui tu potresti parlare.
Molti in ambito equestre parlano di “buon cavallo” o, al contrario, di “m…e”. Scrivo proprio questi termini per evitare equivoci. Io sono molto contraria all’apposizione di queste facili etichette così in uso, e mi spiace non sentir parlare dai professionisti di attitudini e propensioni.
Ecco, vorrei sapere tu cosa ne pensi e mi piacerebbe sentire le opinioni anche di chi usa le famose etichette.
Ti ringrazio e ti saluto.
Vanessa
Cara Vanessa,
in primo luogo ti ringrazio per la stima, aggiungendo che mi piacerebbe molto ricevere anche una mail con le tue riflessioni.
Rispondo alla domanda che mi hai fatto dal punto di vista di un cavaliere professionista di salto ostacoli che, come sai, per diverso tempo sono stato. Lo faccio raccontandoti la mia esperienza rispetto all’argomento che proponi.
Personalmente ho sempre usato con estrema difficoltà il termine “m…a” per definire un cavallo, fosse un cavallo che montavo io o quello di un altro cavaliere. Non che non mi sia mai capitato, qualche volta è successo, magari durante uno sfogo per una gara andata male; ma mi ha sempre infastidito molto, specialmente quando sentivo qualcun altro farlo, riferendosi al proprio cavallo o, peggio che mai, al mio.
Ma perché un cavaliere dovrebbe definire “m…a” un proprio cavallo, o quello di un altro cavaliere, magari suo amico/conoscente?
A questa domanda rispondo ipotizzando che possa essere per giustificare eventuali insuccessi, percorsi andati male e difficoltà riscontrate nell’ottenere i risultati desiderati con quel particolare cavallo. L’equivalenza in questo caso è molto semplice: se il cavallo è una “m…a”, allora non è mia responsabilità se i risultati sono scadenti. Anzi, qualsiasi risultato io ottenga, ne ricaverò un totale merito come cavaliere, essendo io stato così abile dal riuscire a fare zero, e magari a ottenere un piazzamento, con una simile “m…a”.
E mi sono spesso trovato nella situazione in cui, uscito da un percorso andato male, qualche mio amico mi dicesse: “certo che questo cavallo è proprio una m…a!”. Tuttora penso che il loro intento fosse quello di consolarmi, pensando, insultando il mio cavallo, di fare indirettamente un complimento a me. Ma, nel mio caso, il risultato era l’opposto: mi infuriavo!
Primo, per un motivo molto semplice: sono sempre stato, e sono tutt’ora, convinto del fatto che i pensieri e le parole che scegliamo di usare diventano la nostra realtà nel futuro. E i risultati sportivi non fanno eccezione. Chiarisco meglio: non che ovviamente avessi paura che il mio cavallo si potesse offendere sentendosi paragonato alla deiezioni organiche, nei confronti delle quali, sono sicuro, non avrebbe comunque nutrito tutta quell’avversione che invece noi umani sembriamo avere. Il mio pensiero era, molto più semplicemente: “se penso che sia una m…a, diventerà una m…a”; oppure: “se tu mi dici che è una m…a, magari me ne convinco anche io, e facilmente lo diventerà”.
Secondo, mi infuriavo perché il mio obiettivo restava comunque quello di far bene, e proprio non capivo come quelle parole “di m…a” potessero aiutarmi a migliorare i miei risultati con quel cavallo. In sostanza, pensare “di m…a” non mi avrebbe aiutato in alcun modo a migliorare.
Vorrei passare ora, cara Vanessa, a dirti perché, secondo la mia esperienza, non si sentono quasi mai i professionisti parlare, come tu scrivi, di attitudini e propensioni.
Per certi professionisti – ma non solo – , l’unica attitudine, o propensione, che è importante che un cavallo abbia è la capacità di fare esattamente ciò che loro desiderano, senza fiatare e, possibilmente, interpretando velocemente i comandi impartiti, senza fargli fare troppa fatica nel mettersi a comprendere i bisogni, il linguaggio o la psicologia degli equini. Insomma, in certi casi l’attitudine o la propensione più gradita dai cavalieri è quella che fa del cavallo un perfetto esecutore. Un esecutore che, essendo nato al servizio dell’uomo, deve adattarsi a qualunque sorte il suo “capo” decida per lui.
Ecco, qui finisce la mia risposta alla lettera di Vanessa.
Voglio concludere con un consiglio non richiesto, ma che spero possa aiutare chi fosse abituato a definire “m…a” il proprio cavallo, e sentisse di conseguenza un fastidio inspiegabile.
Se siete affetti dal “merdismo”, e volete uscirne, la medicina che mi sento di consigliare (anche a me stesso), è quella di sostituire questa abitudine con quella della gratitudine nei confronti dei nostri cavalli. Mi rivolgo anche, e soprattutto, ai cavalieri professionisti, che più degli altri corrono il rischio di cadere in questo tranello.
I cavalli, come qualsiasi altro collaboratore, – anche umano – che dedica parte della sua vita ad aiutarci nel realizzare i nostri obiettivi – non sono esseri inferiori che abbiamo il diritto di utilizzare a nostro piacimento, per qualsiasi cosa ci faccia comodo. I cavalli, come tutti gli esseri viventi e l’ambiente che ci ospita, sono nostri fratelli, nel senso più profondo del termine. E ce la mettono davvero tutta per comprendere le nostre intenzioni, perfino quando li maltrattiamo. I cavalli ci perdonano sempre, e, almeno per questo, possiamo imparare a essere loro grati. Addirittura, magari solo qualche volta, potremmo anche provare a ricambiare loro il favore se non sono riusciti a soddisfare completamente le nostre aspettative.
La prossima volta che il nostro cavallo “sbaglia”, invece di chiamarlo m…a, facciamogli piuttosto una carezza e diciamogli: “so che ce l’hai messa tutta amico mio, domani andrà meglio!”.
© Pietro Borgia; riproduzione riservata; in copertina: foto © A.Benna / EqIn