Confessioni di un cavaliere fallito – ciò con cui dobbiamo fare i conti

19 maggio 2020
Vorrei iniziare subito, in barba a qualsiasi manuale di PNL (Programmazione Neuro-Linguistica), spiegandovi quello che NON voglio fare.
Nelle parole che leggerete, non c’è alcun intento di giudicare ciò che ho fatto nella mia vita di cavaliere, né tanto meno voglio condannare le scelte o l’operato di altri miei colleghi e amici.
La mia intenzione è quella di condividere con voi alcuni insight che ho avuto negli ultimi due anni, da cui sono conseguite scelte di vita radicali e riflessioni, tutt’ora in corso di completamento, che coinvolgono un po’ tutta la mia vita. Spero, prendendo con voi l’impegno di scrivere periodicamente della mia esperienza, di riuscire a riordinare un po’ le idee dentro di me (vi confesso che, al momento, sono ancora piuttosto confuse…). E magari le mie parole potranno essere d’aiuto, o anche solo spunto di riflessione, per quei cavalieri che, come me, ad un certo momento della loro vita hanno iniziato a sentire un enorme conflitto dentro, quando si tratta di montare a cavallo.
Ma, prima di proseguire, mi presento brevemente per chi non mi conosce.
Mi chiamo Pietro Borgia, per molti anni sono stato cavaliere professionista di salto ostacoli. Nella mia carriera ho avuto la fortuna di collaborare con moltissimi cavalieri di alto livello e di entrare in contatto con quello che è considerato il mondo “top” nelle gare di salto ostacoli. Intendiamoci, personalmente non ho mai raggiunto il cosiddetto primo livello. E, probabilmente, non mi ci sono nemmeno davvero avvicinato. Per questo mi definisco un cavaliere fallito, nel senso che non sono riuscito, nonostante grandi sforzi, a raggiungere i risultati che avrei voluto. Proprio a partire da questo fallimento, tuttavia, è iniziato dentro di me un nuovo cammino di ricerca.
Ricerca di che cosa? Usando una definizione che di certo riunisce al suo interno tantissimi concetti, pensieri ed emozioni, ho sentito la necessità di impegnarmi per iniziare a trovare una “verità interiore” circa ciò che non sono e ciò che, invece, veramente sono.
Questo mi dà lo spunto per anticiparvi una delle domande che mi hanno portato al punto in cui mi trovo ora: per quale motivo, realmente, desideravo così tanto ottenere risultati di top livello?
Questa domanda me la sono posta per la prima volta in occasione di un concorso internazionale, per certi versi il migliore della mia carriera. Secondo i miei calcoli di allora, quello sarebbe dovuto essere il periodo migliore della mia vita, avrei dovuto essere davvero un uomo felice. Per una parte di me è stato certamente così, senza dubbio. Un’altra parte, invece, avrebbe letteralmente voluto… morire. Per ora fermiamoci su questo punto (anche perché sto diventando un po’ troppo drammatico…), ma ci ritornerò.
L’idea di iniziare a condividere pubblicamente l’evoluzione delle mie riflessioni in tema di equitazione mi è venuta dopo aver ascoltato un recente video del famoso cavaliere internazionale Albert Voorn, che troverete qui di seguito. Ad un certo punto del suo monologo, le parole di Voorn mi hanno fatto drizzare le orecchie non poco, soprattutto per il fatto che provenivano da un cavaliere del suo calibro. Vi riporto di seguito la traduzione di alcuni dei passaggi che più mi hanno colpito:
(…) Qualche tempo fa ho detto: “Se ami i cavalli non li usi per fare sport”.
Perché, noi amiamo veramente i cavalli? Ve lo domando. Io non li amo, sono onesto. Per me il cavallo è uno strumento, come lo era per il contadino che arava i campi. Noi non ariamo più i campi con i cavalli, abbiamo i trattori, così il cavallo è diventato cavallo da sport. E invece che arare i campi, saltiamo ostacoli, o facciamo dressage, barrel racing, e così via. Noi amiamo lo sport, non i cavalli. Amiamo quella particolare cosa, ma per fare quella particolare cosa abbiamo bisogno di un cavallo che ci trasporti. Lo amiamo veramente e lo costringiamo a trasportarci su e giù per le colline… questo è davvero amore?
Facciamo quello che facciamo perché ci piace quella particolare cosa, e per farla ci serve un cavallo. E vogliamo fare quello che facciamo al meglio possibile. Quando il contadino ha bisogno di arare un campo, deve prendersi cura del suo cavallo. Deve nutrirlo come si deve, averne buona cura, ed assicurarsi che il proprio cavallo sia in ottima salute. Allora noi abbiamo cura del nostro cavallo con la massima responsabilità, lo nutriamo con il miglior mangime che conosciamo. (…) noi proviamo, con le conoscenze che abbiamo, a fare il meglio che possiamo per prenderci cura del nostro cavallo, affinché lui possa servirci al meglio possibile per avere successo in ciò che vogliamo fare. Possiamo dire che questo sia amore? Io penso che si tratti più di rispetto. È come quando mi serve un trattore per arare i campi, e mi assicuro di fargli la manutenzione affinché non si rompa quando aro il mio campo. Con il cavallo è lo stesso. L’amore che abbiamo per un cavallo è principalmente basato sulle performance che esegue per noi nel week end. Se fa cadere le barriere, o se volevamo che prendesse una distanza lunga e lui rimette i piedi, o qualsiasi altra cosa faccia che non sia quello che volevamo, noi lo maltrattiamo: “bastardo, figlio di p…”, lo “cianconiamo” con le mani e lo speroniamo ai fianchi… avete presente vero? Non siamo altrettanto gentili con lui rispetto a quando vince una gara per noi.
I cavalli sono usati per guadagnare denaro. Alcuni di noi dicono: “Io amo, amo il mio cavallo!”. Poi improvvisamente ci offrono due milioni di dollari e lo vendiamo. Allora, ami il cavallo o ami il denaro che guadagni utilizzandolo?
Questo è ciò con cui dobbiamo fare i conti nel nostro sport (…)
Ecco, forse per me è proprio qui il punto: con questo non sono mai riuscito veramente a fare i conti fino in fondo…. (continua….)
© Pietro Borgia; riproduzione riservata; in copertina Borgia in azione con Lady Cracotte – RIVIERA SUN TOUR CSI3* 2016