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Quali le competenze necessarie in Horsemanship? I risultati di una ricerca FEI su scala mondiale

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02 novembre 2017 #focus

Durante il Forum Sportivo organizzato dalla Fédération Equestre Internationale (FEI) il 4 aprile 2016 è stato sollevato un problema dal campione olimpico Steve Guerdat che ha dichiarato: “La gente deve imparare a seguire le procedure. I giudici devono imparare, ma una cosa che non possiamo perdere di vista è l’horsemanship che queste persone dovrebbero avere. Sì, abbiamo bisogno di regole, le regole sono nero su bianco, ma non dobbiamo dimenticare che abbiamo un cavallo nel nostro sport. Un animale vivo, e i funzionari devono capire l’importanza dell’horsemanship”.

Steve Guerdat – foto ©EqIn /A.Benna

In queste parole non è implicita l’indicazione da parte del cavaliere svizzero della primaria necessità di interpretare situazioni e momenti, pur nel rispetto delle regole, in considerazione del fatto che ogni sport equestre ha a che fare con “materia viva”, il cavallo, un soggetto cui la relazione stabilita con il suo cavaliere gioca un ruolo fondamentale. Mancava una comprensione approfondita dell’horsemanship, con la conseguenza che la materia veniva spesso mistificata. Affidato dunque dalla Fédération Equestre Internationale (FEI) a Stefanie Krysiak, ricercatrice specializzata in advanced studies su sport, amministrazione e tecnologia non meno che brillante amazzone, lo studio comparativo tra le competenze di diverse scuole “horsemanship” attive nel mondo equestre. Com’è noto, con “horsemanship” s’intende quel metodo naturale di addestramento e gestione del cavallo in cui è primaria la presa di coscienza della centralità della relazione tra l’uomo e l’animale per la pratica degli sport equestri, concezione che deve le sue origini ai suoi fondatori americani Pat e Linda Parelli. Oggi nel mondo sono innumerevoli le correnti e le varianti di metodologie di addestramento che, in un modo o nell’altro, si rifanno e si richiamano all’horsemanship (anche in Italia); per tale ragione la FEI ha avvertito la necessità di condurre un’indagine, volta prima di tutto a determinare se il concetto horsemanship potesse essere meglio definito, di modo da sviluppare una comprensione potenziale di base delle competenze, delle abilità e delle caratteristiche necessarie per esercitare questo metodo di addestramento e di gestione del cavallo.

L’esito della ricerca è chiaro: secondo la Krsysiak, purtroppo ogni scuola utilizza un vocabolario diverso, con termini ed espressioni che tendono a mistificare il processo e a causare troppa confusione. La ricercatrice ha condotto la sua indagine coinvolgendo 105 esperti in horsemanship (51 uomini, 54 donne, dai 24 agli 81 anni) con contributi apparsi in riviste scientifiche ed interviste, provenienti da 30 Paesi diversi e specialisti di 8 differenti discipline equestri. Nel complesso sono 21 le diverse prospettive analizzate delle parti interessate; un’enormità, a pensarci bene.

È importante notare“, ha affermato la Krsysiak, “che questa competenza in equitazione oggi non è semplicemente riservata ad una élite o a particolari discipline equestri, e nemmeno a ruoli specifici della comunità; inoltre, nemmeno dipende dal numero di anni di interazione/pratica equestre“. Detto altrimenti, si pratica horsemanship in molti luoghi e ad ogni livello. Tuttavia, non è risultato facile individuare quali siano le fondamentali e primarie competenze necessarie per questa pratica di addestramento; i riferimenti più frequenti sono alla sicurezza, alla movimentazione di cavalli, al grooming, alla salute degli animali. Sui fondamenti teorici vi è una certa confusione: la teoria appare secondaria rispetto alla pratica sul campo.

Da rilevare inoltre un aspetto che è emerso in maniera consistente dall’analisi di tutte le parti interessate: l’idea che un buon cavaliere/addestratore che pratica horsemanship debba anzitutto essere in grado di capire e vedere il mondo dal punto di vista del cavallo. Non secondario e connesso, l’aspetto per il quale l’horseman è colui che ammette e si assume la responsabilità dei propri errori; non incolpa mai il cavallo, non pensa mai che l’animale stia agendo contro di lui, ma in un’ottica “Ego-free“, l’horseman si guarda allo specchio per mettere in discussione il proprio approccio e i possibili errori: egli sa che c’è sempre tempo e modo per crescere e migliorare (mentalità di crescita). Un’ulteriore convinzione fondamentale per la maggioranza dei soggetti coinvolti ed intervistati, è che l’amore del cavallo deve venire prima della ricerca del business o di qualunque altro aspetto.

In conclusione, 14 sono gli elementi – le skills, le competenze e/o abilità – individuate dalla ricerca, attraverso le quali si potrebbe cominciare a tentare di definire, nel suo insieme, l’horsemanship:

-Conoscenza teorica approfondita e completa dei principi teorici connessi all’horsemanship;
– Esperienza pratica;
– Mentalità di crescita;
– Rispetto del cavallo;
– Empatia etologica;
– Applicazione efficace della teoria dell’apprendimento;
– Consapevolezza e attenzione al corpo;
– Linguaggio;
– Impegno nel porre come prioritario il benessere dei cavalli;
– Intelligenza emotiva;
– Umiltà e integrità;
– Adattabilità;
– Pazienza;
– Selezione e gestione del personale di supporto;
– Sviluppo di una relazione reciproca uomo-cavallo simbiotica.

Per leggere lo studio per intero, clicca qui

© Redaz.; – riproduzione riservata; fonte e materiali fotografici/illustrazioni: FEI.

 

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Redazione EQIN
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