Spielberg: “Il cavallo Joey rappresenta il buon senso, se la gente avesse più buon senso”…

13 aprile 2020 #focus
Steven Spielberg e i cavalli, con il dietro le quinte della pellicola del 2011, ben nota agli equestrians – War Horse – rivelato in interviste rilasciate a Indielondon e Collider e raccolte di Domenico Misciagna per comingsoon.it, che qui andiamo a presentare, essendo davvero interessanti le considerazioni che il celebre registra statunitense ha messo in luce, sia circa i temi, sia sulla spettacolare tecnica utilizzata per il film.
Ve lo ricorderete (o, se ancora non lo avete visto, il film War Horse merita davvero il vostro tempo): ecco il trailer italiano in HD:
Il protagonista di War Horse è il cavallo Joey, strappato al giovane Albert per essere ceduto all’esercito britannico: da quel momento l’equide, il vero protagonista, attraverserà molte vicende legate all’umanità derelitta della Grande Guerra. Con le parole di Spielberg:
“[War Horse] E’ una storia di legami, nella quale il cavallo Joey attraversa le emozioni della Grande Guerra e non solo, trova un rapporto con gente che si prende cura di lui; ma, cosa più importante, è che Joey in un certo senso lega le persone che vengono da entrambi gli schieramenti. […] Io non la vedo come una storia di guerra, non è “Salvate il soldato Ryan”. Se guardate il film, ci saranno combattimenti per circa 12-15 minuti. Volevo che le famiglie potessero vedere il film riunite. […] Questo periodo era quello del tramonto delle cariche a cavallo, che sarebbe rimasto attivo al fronte solo come bestia da soma. A mano a mano che il XX secolo avanzava, il cavallo è diventato sempre meno utile nelle operazioni militari, esisteva più come simbolo che altro. […] Joey rappresenta il buon senso, se la gente avesse più buon senso… secondo il buon senso da cavallo che ha Joey, non ci sarebbero guerre. Su questo si basa sul serio il significato di tutto quanto. […] La prima decisione che abbiamo preso nell’adattamento è stata quella di non far pensare o parlare Joey [come nel libro di Michael Morpurgo e nella piece teatrale, ndr], ma abbiamo lasciato che Joey provasse emozioni ed esistesse all’interno delle sequenze, con questi personaggi umani”.

War Horse
Inoltre, nessuno avrebbe creduto che per un regista del calibro di Spielberg girare delle scene con al centro la storia un cavallo potesse costituire un campo insicuro. Eppure nel girare War Horse molte insidie e sfide particolari hanno riguardato il maestro statunitense.
L’adattamento del romanzo di Michael Morpurgo, che vide il successo teatrale nel 2007 al National theater di Londra e a Broadway, ha fatto parlare di sé per la realizzazione di un’impressionante marionetta nelle veci di Joey, il protagonista equino (+info: clicca qui). Con il successivo arrivo sul grande schermo le difficoltà nella rappresentazione del cavallo si sono riproposte al regista e produttore.
Le caratteristiche del film lo hanno impegnato infatti in una straordinaria sfida di trasposizione cinematografica delle movenze e caratteristiche di un animale imponente. Spielberg sfata anche un falso mito, quello secondo il quale nella pellicola ci sarebbero tantissimi effetti digitali…
“La gente mi dice spesso di aver amato quei cieli digitali che avremmo ovviamente ricreato da zero. Ma nessun cielo è stato aggiunto con gli effetti visivi! Ogni cielo che vedete nel film è quello che abbiamo guardato noi, i tramonti nel film sono i tramonti che abbiamo vissuto noi. […] Ho reso le ambientazioni veri personaggi della storia, tendendo a inquadrature larghe piuttosto che a primi piani, per lasciare che il pubblico decidesse effettivamente quando e dove guardare, è una dinamica dei film degli anni 30 e 40, non solo quelli di John Ford, ma anche di Akira Kurosawa negli anni 50, e di Howard Hawks…[…]
Quando ho capito che avrei diretto War Horse, il libro e la pièce mi avevano così toccato che sono andato alle nostre stalle, mi son piazzato lì con il mio iPhone e ho cominciato a fotografare cavalli da tutte le angolazioni. Volevo vedere quante espressioni riuscivo a ricavare da quei cavalli lì! Quando ho capito che non potevo ottenere espressioni solo dagli occhi e dal volto, mi sono reso conto che dovevo lasciare che il cavallo si esprimesse con tutto il corpo, con le quattro gambe, la coda, specialmente con il modo in cui si muovono le orecchie per reagire a uno stimolo.[…]”.
Il film è stato dunque un banco di prova per l’esperto della macchina da presa. Partendo dalla filosofia delle “inquadrature larghe”, nelle quali l’ambientazione non passava in secondo piano rispetto alla narrazione delle gesta dei personaggi, Spielberg ha cercato di catturare un’immagine intera del cavallo per ottenere tutte le capacità espressive degli interpreti di Joey, dal movimento delle orecchie fino alla coda. Si, più cavalli sono serviti a raggiungere la massima completezza del personaggio: ben otto, ognuno dei quali con caratteristiche peculiari, si sono turnati di fronte all’obiettivo; se uno doveva essere in grado di galoppare senza qualcuno in sella, un altro doveva procedere disinvoltamente all’indietro e così via. In buona sostanza il nostro Spielberg ha dovuto quasi reimparare a girare un film, grazie ai cavalli.
Con tali premesse viene veramente voglia di sedersi sul divano e rivedersi questo capolavoro, forse questa volta intravvedendo quelle piccole caratteristiche che rendono comunque unico ogni interprete di Joey!
©Antonio Sforacchi; riproduzione riservata; fonte principali: comingsoon.it; in copertina Joey © movieplayer.it